giovedì 25 luglio 2013

Sentence

Una volta al mese mio padre viaggiava verso Winter, per vendere molte delle pelli e delle vesti confezionati nel capanno. Ed insieme a lui anche altri uomini di Icewolf o della Wolfwall. Era un viaggio lungo, di molti giorni tra andata e ritorno, e viaggiare da soli significava essere derubati da briganti o assaliti dalle belve. Venti carri e venti villaggi. Sembravamo renne durante la migrazione estiva. L'inverno stava arrivando, ma le strade erano ancora percorribili. Penso che avevo si e no dieci anni, forse anche di meno.
"Perchè non è venuto anche Bjorg, Dad?"
"Tuo zio Back ha detto che è ancora troppo piccolo."
"Per andare a Winter?"
"No. Per vedere giustiziare un uomo."
"Anche Mum è troppo piccola?"
Strappo una fragorosa risata da mio padre. Mi accarezza la testa velocemente. Poi decide di togliermi da sopra il cavallo da tiro del carretto per mettermi a terra.
"A lei queste cose non piaccio. Và a giocare con gli altri bambini, che il viaggio è lungo."
Io conoscevo solo Gwen, che nonostante fosse più piccola di me di un paio d'anni forse, aveva insistito per accompagnare il padre durante quella traversata continentale. Menava forte anche da ragazzina quella brunetta! Ma nonostante la schiera di uomini tra quei carri, non si contavano più di cinque o sei ragazzini.

Il viaggio quella volta era sembrato interminabile. Noioso se non fosse stato per qualche lupo o orso che decideva di assaltare i carri, affamati. Di briganti neppure l'ombra. Quando arrivammo a Winter i cavalli erano esausti. Qualcuno li spostò nelle stalle a pagamento, mentre altri si occuparono delle pelli da vendere ai vari mercanti. Mio padre e Fastarr Kregh svuotarono il carretto di pelli per riempirlo di latte principalmente, o qualche altro bene che ad Icewolf non riuscivamo a procurarci. Io e Gwen invece girammo a zonzo per Winter, incuriositi ed affascinati da quella grande cittadina, mai visitata prima. Gente diversa, avvolta da pellicce brune e non grigiastre, con capelli bruni o rossicci mentre i capelli color grano sono molto meno numerosi rispetto alla Vallata.
"Qui è tutto storto..."
Gwen annuisce. Mi tocca i capelli e poi i suoi: noi due i capelli biondi non ce l'abbiamo mai avuti. Ma poi aggiunge sorridente.
"Che significa ciustiziare?"
"Eh...significa che fanno giustizia, Gwen."
Faccio spallucce. Saltello su una pietra e mi vado a sedere sul bordo di un grande pozzo di pietra. Aiuto Gwen a salire e sedersi.
"Non finite dentro quel pozzo ragazzine, che poi finite che vi spaccate la testa."
La voce che tuona appartiene ad un uomo non troppo alto, meno della maggior parte della popolazione; capelli color rosso fuoco, lunghi e tenuti in ordine da un paio di piccole trecce; la barba che gli nasconde completamente il collo.
"Non sono una ragazzina!"
Lo guardo storto, strizzo il naso.
"Barba Rossa, che significa ciustiziare?"
Gwen sfacciatamente rimette avanti i suoi dubbi, per nulla soddisfatta della mia spiegazione.
"Piccoletta, domani mattina fanno Giustizia. Decapitano un uomo che ruba pelli ed uccide la gente. Era ora che facessero pulizia!"
Lo sconosciuto si allontana, Gwen mi guarda e mi fa una sonora pernacchia.
"Pulisia, Rognvaldr. Ciustiziare significa far pulisia."
Annuisco, convinto delle parole dello sconosciuto e della pernacchia di Gwen. Probabilmente saremmo andati ad importunare qualcun'altro se non fosse stato che mio padre ci afferrasse ambedue per il cappuccio del copriabito imbottito e ci trascinasse come due sacchetti sgonfi in direzione della locanda. Il sole stava calando.

White Tiger mi sembrava immensa, paragonabile alla Grande Casa di Icewolf. ma la gente non se ne stava seduta a fare discorsi seri, piuttosto cantavano, ballavano, mangiavano e bevevano. Lascio la pelliccia a Dad e mi avvicino al grande focolare; Gwen si fa staccare una zampa dalla volpe, io mi accanisco sulla testa. Tiro due, tre, quattro volte. Solo quando tra le risate goliardiche dei più grandi uno di loro me la stacca e me la mette in mano, con un broncio lungo un metro, comincia a divorarla. Per tutta la sera sento parlare di questa esecuzione pubblica, della decapitazione del farabutto. Ritorno da mio padre per chiedere, ma il tizio dalla barba rossa è lì che parla con lui. Lo guardo storto.
"Dovresti scendere più spesso, Abjorn. Per tutti gli Dei...dalle vostre parti non ci sarà neppure la birra!"
Sembrano vecchi amici, ridono, si danno pugni sul petto. Dad mi guarda.
"Non è un viaggio breve, Thorig, lo sai. E poi..."
"E poi ora hai una famiglia. Si si. Ma ehi! Chi è la ragazzina!"
"Sono Rognvaldr e non sono una ragazzina, Pelliccia rossa!"
L'uomo si piega sulle ginocchia, mi da una scompigliata di capelli ed io mi appendo sgraziatamente al braccio dell'uomo, nel tentativo di buttarlo a terra. Intorno a noi la gente ride divertita; persino mio padre e Thorig ride. Quest'ultimo mi da una pacca sulla spalla - amichevole ma pesante.
"D'accordo sbarbatello, non sei una ragazzina!"
Altro broncio. Do le spalle al tizio e mi isso sullo sgabello al bancone salendo solo al secondo tentativo. Per me niente birra, troppo piccolo. Latte di foca o di balena. 
Non ci mettiamo a dormire tardi, ma per tutta la notte continuo a pensare all'esecuzione. Non so neanche cosa significhi esecuzione. Prendo sonno che è tardi.

All'alba siamo già svegli, con le pelli addosso a coprire dalla brina gelida mettutina. Quando scendiamo in piazza questa pullula di gente, piena degli Hjorleif giunti dai villaggi vicini per assistere all'esecuzione. Mio padre deve prendermi in braccio e sistemarmi sulle sue spalle per permettermi di vedere il patibolo di pietra in fondo alla piazza.
"Dad, che significa dacapitolare?"
"Decapitare, Red. Significa che gli tagliano la testa.
"E fa male?"
"No. Non sentirà niente."
Mio padre riesce ad essere convincente tanto che io annuisco convinto.
"Se non vuoi vedere, non farlo."
Faccio spallucce. Non farà male.
Il primo a salire sul patibolo è un uomo alto, postura rigida e marziale. Capelli castani e lunghi fino alle spalle, una barba corta che gli riempiva il viso. Dalle spalle, avvolte dalla pelle di un orso bruno scendeva un mantello nero ed imbottito, così come neri erano tutte le vesti che si portava dietro.
"Chi è Dad?"
"Lui è Edmund Skar. Signore di Winter."
Lo seguo con attenzione, prima di spostare lo sguardo sull'uomo incatenato accompagnato sul patibolo dalle due guardie cittadine. Non ricordo precisamente la sua fisionomia, però ricordo che era biondo anche lui, sbarbato. Lo fanno inginocchiare davanti al ceppo logoro e mai pulito del tutto dal sangue delle varie esecuzioni.
"Mercer Grey, quest'oggi sei qui per pagare i tuoi crimini. Furto ed aggressione. Omicidio. E prima che anche il Grande Padre ti giudichi, hai diritto alle tue ultime parole."
Il condannato scrolla le spalle, come a scacciare da il braccio di una delle guardie.
"Facciamola finita!"
Il capo gli viene chinato sul ceppo ed Edmund prende nuovamente parola.
"In nome di Fredrik Eriksen, Governatore di Saint Andrew, io, Edmund Skar, Signore di Winter e Membro del Consiglio dei Sei, ti condanno a morte."
E dopo aver pronunciato la sentenza, sfodera una lunga e pesante spada a due mani, lunga quasi quanto è alto quello stesso uomo che l'impugna. Ma non fa fatica a sollevare quell'arma sopra la propria testa. Sono pochi secondi, veloci e fluidi: l'arma vien fatta cadere sul collo del condannato tranciando di netto il capo dello stesso. Fiotti di sangue e quel capo che rotola sul patibolo come una sfera vuota. Non distolgo lo sguardo dalla scena, metabolizzando la sequenza velocemente. Mio padre mi rimette a terra, poi si piega sulle ginocchia per potermi guardare negli occhi.
"Ricorda sempre, ragazzo mio, che rubare ai propri fratelli è un atto scellerato. Non importa cosa e non importa come. Così come il tradimento o abbandonare chi ha riposto fiducia in te. Questo gli Dei non lo perdonano, e nemmeno gli uomini."
Io annuisco nuovamente, poi lui mi scompiglia i capelli. Mi da una breve spinta, per rimettermi in moto. E' inutile il tentativo di cercare sul patibolo Skar, che nel frattempo sembra essersi volatilizzato. Poche ore dopo siamo nuovamente in viaggio, di ritorno ad Icewolf. Di nuovo una lunga e stancante traversata.

- Ritratto di Edmund Skar - Grande Casa di Winter - Marzo 2488 -

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